GUBBIO – Dal mese di marzo del 2020 ormai i più giovani continuano a subire gli effetti della pandemia senza diritto di replica. La situazione purtroppo è quella che è, nessuno pensa che sia facile gestirla vedendo anche qual è l’andamento dei “numeri”. Arrivati a questo punto però è necessario fermarsi un attimo e analizzare qual è lo scenario reale che i nostri ragazzi stanno vivendo e quello al quale stanno andando incontro.
Tantissimi giovani si stanno spegnendo dentro, stanno perdendo la motivazione a praticare lo sport che hanno sempre amato e finiscono con l’abbandonarsi alla pigrizia senza desiderare altro che passare il tempo a dormire o a giocare con un videogame. Passano le giornate chiusi in casa, stesi sul divano o sul proprio letto. E fa male vedere la loro resa incondizionata, dovuta al fatto che le restrizioni anti-Covid19 vietano qualsiasi tipo di attività. Gli anni che hanno passato in campo, in palestra, in vasca o in pista a capire l’importanza dello sport e delle relazioni umane se ne stanno andando via così, senza possibilità di invertire la rotta.
Ragazzi di 15 anni che prima della pandemia non saltavano un allenamento, adesso rinunciano allo sport perché non hanno più obiettivi. Magari la voglia di allenarsi qualcuno ce l’avrebbe anche, ma spesso le lezioni scolastiche in dad vengono spostate negli stessi orari pomeridiani e saremmo comunque daccapo. Gli è stata negata la possibilità di socializzare con amici e compagni, prima a scuola e poi sul campo. E viene negato loro l’unico momento in cui possono esprimere la propria personalità. Diventa difficile quindi, in questo momento, riuscire a convincere un ragazzino a non arrendersi se non ha più voglia di fare sport, senza poter offrire in cambio speranze, senza allenamenti in presenza e senza i compagni che vorrebbero divertirsi insieme a lui o a lei.
Peggio ancora, è impossibile trovare una risposta sensata quando un ragazzino chiede perché un certo amico o amica può allenarsi come prima, solo perché fa parte di una categoria di interesse nazionale, e lui invece no… Perché un ragazzo che “milita” in un campionato non riconosciuto di interesse nazionale non ha gli stessi diritti di fare attività sportiva di chi può continuare ad allenarsi come prima? La paura più grande è che una volta finita la pandemia, sperando che possa accadere prima possibile, i danni subiti dai più giovani continueranno ad avere i loro effetti per molti anni.
Continuando così, nel 2022 i bambini, i ragazzi e gli adolescenti italiani raggiungeranno il grado zero delle capacità motorie. I risultati di alcune ricerche effettuate a livello scolastico sono drammatici: a 13-14 anni, 58 ragazzi su 100 hanno forza nelle braccia insufficiente o scarsa, 78 sono insufficienti relativamente alla forza degli arti inferiori, 68 studenti su 100 non sono resistenti, 50 studenti sono lenti e 47 sono scoordinati nei movimenti, per non parlare poi dell’equilibrio. E’ stato un anno perso quindi, che probabilmente non verrà mai “rimborsato”. E non si può andare oltre perché i danni potrebbero essere irreparabili
Anche perché una passeggiata intorno casa con i propri genitori non è sport. Una “corsetta” ogni tanto per le vie della città, ammesso che succeda, non è sport. Lo sport, quello vero, è educazione, crescita personale, cultura. Fare sport significa confrontarsi con se stessi, con i propri compagni, con gli allenatori e gli istruttori, con gli avversari. Perché dunque non si comprende che fare sport significa anche andare meglio a scuola? Perché questo Paese non riesce a capirlo? Perché non si pensa ad ideare ed introdurre dei protocolli sanitari che permettano ai ragazzi di tornare al campo, in palestra o in piscina? I nostri giovani non possono pagare oltre il conto sociale di questa pandemia. E’ necessario pensare al loro futuro.